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La Luna di Calvino

Tonno arrosto con panzanella alla romana, zabaione all’aceto e mostarda di
cipolle rosse di Tropea  (All’Alloro, Roma)

C’era un tempo, millenni e millenni fa, in cui la Luna era molto più vicina alla Terra di quanto lo sia ora. E lo era talmente tanto che, con l’alta marea delle notti di plenilunio, era addirittura possibile salirvi sopra…
“Andavamo con quelle barchette a remi che si usavano allora, tonde e piatte, di sughero…”
Italo Calvino, La distanza della Luna, in Le cosmicomiche, 1965

La barchetta con la quale lo chef Riccardo Di Giacinto del ristorante All’alloro favorisce l’incontro fra Luna e Terra è ricavata dalla fusione fra la panzanella romana e il tonno rosso siciliano, sapido convegno suggellato nella ricetta dalla dolcezza di zabaione al balsamico e mostarda di cipolla rossa di Tropea.
“… Il nostro lavoro era così: sulla barca portavamo una scala a pioli: uno la reggeva, uno saliva in cima, e uno ai remi intanto spingeva fin lì sotto la Luna; per questo bisognava che si fosse in tanti. Quello in cima alla scala, come la barca s’avvicinava alla Luna, gridava spaventato: – Alt! Alt! Ci vado a picchiare una testata! – Era l’impressione che dava, a vedersela addosso così immensa, così accidentata di spunzoni taglienti e orli slabbrati e seghettati. In realtà, d’in cima alla scala s’arrivava giusto a toccarla tendendo le braccia, ritti in equilibrio sull’ultimo piolo. Avevamo preso bene le misure (non sospettavamo ancora che si stesse allontanando); l’unica cosa cui bisognava stare molto attenti era come si mettevano le mani. Sceglievo una scaglia che paresse salda (ci toccava salire tutti, a turno, in squadre di cinque o sei), m’aggrappavo con una mano, poi con l’altra e immediatamente sentivo scala e barca scapparmi di sotto, e il moto della Luna svellermi dall’attrazione terrestre. Sì, la Luna aveva una forza che ti strappava, te ne accorgevi in quel momento di passaggio tra l’una e l’altra: bisognava tirarsi su di scatto, con una specie di capriola, afferrarsi alle scaglie, lanciare in su le gambe, per ritrovarsi in piedi sul fondo lunare. Visto dalla Terra apparivi come appeso a testa in giù, ma per te era la solita posizione di sempre, e l’unica cosa strana era, alzando gli occhi, vederti addosso la cappa del mare luccicante con la barca e i compagni capovolti che dondolavano come un grappolo dal tralcio.”
Italo Calvino, La distanza della Luna, in Le cosmicomiche, 1965
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