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Il gusto del crudo

Il gusto del crudo.
Fra ostriche, scampi, cappesante, hamachi giapponese in una cena al Cavallo Scosso
di Maria Luisa Basile

Il sapore di un crudo di pesce dipende da numerosi fattori, ma se è fresco e sano è semplicemente e naturalmente, buono.
Ha il gusto che ci si aspetta quando lo si mangia e questo gli conferisce sapore diverso a seconda del palato e della memoria gastronomica di ciascuno. Per me ha il sapore del mare da cui proviene, dell’olio extravergine d’oliva con il quale viene irrorato, della frutta e degli intingoli con i quali entra in dialogo, o in serenata.
Lo stesso vale per le ostriche, che mi aspetto sempre siano deliziose. E fino a oggi è puntualmente avvenuto.
Trovare motivazioni quando si sceglie di concedersi un tale piacere non è difficile: se re Luigi XI di Francia obbligava i grandi uomini che lo affiancavano nel governo del regno a ingollare una prodigiosa quantità di questi molluschi per fare scorta di fosforo, vuoi non imitarli per cercare di brillare?
Se non potrò mai provare un’antica ricetta il cui esordio recita: “prendete 300 ostriche pulite e buttatele in una pentola piena di buon burro”, cerco godimento in più modeste quantità, tanto più se la cena prevede una bella varietà di cruditée annaffiate da bollicine, come è accaduto una sera d’estate al Cavallo Scosso, il ristorante dello chef Enrico Pivieri ad Asti.
Le ostriche sono di Normandia “Speciales Utah Beach” e l’appellativo Selection Royale ben si presta a definire il sapore dolce e burroso del mollusco crestato, da titillare ulteriormente, a discrezione, con una fresca schiuma al lime e cetriolo.
Sontuoso lo Scampo, di pregevole stazza e freschissimo (arrivato vivo il giorno stesso infilato a chele in su dentro eleganti scatole nere), servito su stoviglie scure che ne fanno risaltare la rubiconda vivacità, imberrettato da una noce di caviale e pervaso dalle note delicatamente speziate dell’olio alla fava di tonka. Difficile, per una volta, privarsi del piacere primordiale di suggere dalla testa (nella quale è situato l’apparato digerente del crostaceo che la rende tanto saporita) ogni stilla di sapore.
Ritorno alla delicatezza con il gusto morbido del trancio di salmone acceso dalla marinatura che trova adeguato supporto in un cuscino di riso, il nigiri ideale che vorremmo trovare in un nostrano locale di orientali proposte.
La cappasanta, elegante mollusco la cui dolcezza si riverbera nel sapore come nel profumo, non passa dalla graticola ma viene proposta in polputo carpaccio, disteso come una marsina con lamponi al posto dei bottoni e cosparsa di briciole di amaranto tostato per rompere la monotonia del boccone.
Se c’è un pesce azzurro che considero pregiato e amo soprattutto crudo è la ricciola, e nella cena viene proposta la sua parente del Pacifico, l’Hamachi giapponese in Ceviche da pescare nel barattolo di vetro, vezzo contemporaneo che ci vede ingaggiare battaglie all’ultima cucchiaiata per catturare ogni scia di sapore.
Chiude la cena la Macedonia “confit”, fiordilatte e nocciole croccanti, dove la frutta fa da filo rosso con la cena di crude saporosità e le chiose dolci e croccanti la elevano al rango di dessert.

 

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