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L’edizione 2008 di Identità golose appena conclusa ha visto l’effervescente partecipazione di Fabio Baldassarre, simpatico e professionale Chef del ristorante L’altro Mastai di Roma con un passato da Sous chef nel tristellato La pergola di Heinz Beck.
Roma gourmet c’era, ha assaggiato i suoi piatti e, tra una bagna caoda con midollo, alici e aranci confit e un petto di piccione cotto in pietra ollare, lo ha intervistato.

 

Come è nata la scintilla della passione per la cucina?
La mia concezione di cucina nasce dal piacere di stare insieme, dai valori della famiglia e dell’amicizia. Il mio destino si decise il giorno che imbroccai uno dei piatti simbolo del gusto e del piacere di mangiare in compagnia: spaghetti aglio, olio e peperoncino. Risultarono precisi, belli e buoni. Fu allora che decisi di abbracciare con professionalità un mestiere bellissimo che oggi mi permette di incontrare persone diverse, provenienti da svariati paesi ma con le quali posso parlare il linguaggio universale della cucina, perché a tutti piace mangiare.

Quali sono stati gli incontri importanti del suo percorso formativo di Chef?
Il primo Chef non si scorda mai e il mio primo incontro importante è avvenuto in Abruzzo, la regione di cui la mia famiglia è originaria, con una classica cucina dell’800 ma realizzata in modo perfetto. È stato il primo tocco di qualità. Un secondo incontro fondamentale per la mia formazione è stato quello con Raymond Blanc in Gran Bretagna che mi ha insegnato a gestire una cucina di eccellenza per una clientela esigente.

Dal giorno del cruciale piatto di spaghetti aglio olio e peperoncino e percorrendo il solco della sua cucina d’autore, come si può definire oggi la cucina di Fabio Baldassarre?
La mia cucina non è etichettabile. È una cucina che si rimette continuamente in discussione. La mia è una cucina italiana, realizzata impiegando tutti i prodotti di qualità che il nostro paese ci offre.

Come nascono i due piatti presentati a Identità golose?
Conta il ricordo della memoria della cucina. Lavori con uno Chef, ne apprendi la filosofia e la tecnica e le porti con te, diventano un ricordo. Un piatto nasce in un giorno, in una notte, parlandone.
Mi trovavo in Austria e volevo fare una bagna caoda. Questa ricetta contiene olio, aglio, acciughe, ortaggi; non ha bisogno di essere reinterpretata perché possiede un suo naturale equilibrio di sapore e di gusto che è poi la caratteristica della mia cucina. Ci ho messo il midollo e le alici fresche, in un abbraccio fra carne e pesce azzurro. La parte più difficile è stata la ricerca del midollo. Scelgo la carne da un macellaio di fiducia, Annibale, che quando ha sentito quanto midollo mi serviva mi ha risposto: “non ho mica un dinosauro!” Poi però si è messo al passo. Amo anche usare le erbe perché danno un tocco di freschezza e di mediterraneità ai piatti. Ieri per esempio ho comperato il prezzemolo da Peck e mi hanno chiesto se volevo solo le foglioline, mentre a me servivano i gambi, la parte considerata di scarto!

 
 
 

Molti suoi piatti contengono ricordi di cenere e fumo
Il fuoco è un elemento essenziale per me e la cenere è un ricordo di cosa mangiata. Fuoco e cenere rappresentano una tecnica di cottura costante, un’impronta che regala calore e aromaticità, una macchina del tempo che scandisce il divenire della mia cucina. Quando conosci tutte le forme di calore, hai una cucina completa e slegata dalle mode. Uso molto la legna di quercia perché mantiene di più la temperatura e produce una cenere che dà un sapore più netto e preciso.

L’altro piatto è il petto di piccione cotto nella pietra ollare. Ce ne parla?
Ho scoperto la pietra ollare in Austria nel 1991. Le pentole che uso sono realizzate da un artigiano di 74 anni che ogni anno va in montagna a tagliare la pietra. Ogni pentola può essere usata solo per un prodotto, altrimenti trasmetterebbe il sapore dei cibi cucinati; perciò ho tante pietre ollari: per il piccione, la pernice, il rombo…  quella per il piccione che ho portato qui ha il coperchio ormai un po’ rotto per l’uso. La cottura dura 30 minuti, la cenere trasmette i suoi aromi e la carne mantiene morbidezza.

 
 
 

Nel 2003 nasce L’altro Mastai. Con quali propositi e peculiarità?
L’altro Mastai nasce come un progetto di qualità, non facile da realizzare e portare avanti in una città come Roma che come tutte le grandi città ha pregi e difetti. La qualità per me è un requisito fondamentale che porto avanti giorno per giorno insieme alla continuità, alla formazione e al consolidamento della squadra di cucina. Qui con me a Identità golose ci sono Andrea e il mio Sous chef, Fabio Abbattista che sta con me da moltissimi anni.

Gli ospiti de L’altro Mastai si vedono offrire un pane preparato con lievito madre. Come è nata l’idea di offrire una fetta di questo pane come benvenuto?
Il pane è casa e il ristorante deve accogliere il cliente come uno di famiglia. Il taglio del pane è un gesto conviviale che fa aprire la tavola. In Italia la forma tipica del pane è la pagnotta e il lievito madre in molti lo hanno dimenticato. Nel mio ristorante volevo proporre una pagnotta dalla forma grande perché è elegante e al tempo stesso conviviale e accogliente. Ho avuto un ceppo di lievito di 70 anni da un amico di Madonna di Campiglio e ho iniziato a proporlo. L’idea è piaciuta e nel prossimo ristorante che apriremo in primavera offriremo diversi tipi di pagnotte servite al carrello.

Qual’è il segreto dell’accoglienza e della perfetta orchestrazione del servizio de L’altro Mastai?
La cura del cliente deve essere perseguita pienamente, dalla qualità delle materie prime alla cucina all’accoglienza. Questo richiede continuità, rapidità, costante benessere del cliente, come ho imparato lavorando all’estero in strutture lussuose. Il ristorante è un luogo dove far trascorrere ore piacevoli alle persone, che vengono da me aperte e curiose. Perciò deve esserci una simbiosi naturale fra cucina e servizio.

 

intervista
Fabio
Baldassarre

Chef ristorante L'altro Mastai
Cucina è amicizia

         
         
   
 
 
 
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