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Romeo Caraccio

intervista a
Romeo Caraccio

Sommelier ristorante Agata e Romeo
il destino nel nome: una vocazione annunciata

Roma gourmet raccoglie i pensieri sul vino di Romeo Caraccio, Sommelier del ristorante che porta il nome suo e della moglie Agata Parisella. Un aneddoto familiare riconosce il suo destino di appassionato di vino già nella scelta del nome  he avrebbe dovuto essere qello di un bisnonno grande bevitore.

 

Come si è avvicinato al mondo del vino Romeo Caraccio?
Lo svezzamento è avvenuto da bambino. La mia non è una zona a vocazione vinicola, è più vocata all’olio. Però si produce anche vino a livello familiare. Mio nonno, che era un grande bevitore, e mio padre coltivavano la vigna e facevano il vino per casa, come tutti. Quindi per noi avere il vino a tavola era una cosa normale, non mancava mai. Forse c’era più il vino che l’acqua. Si bevevo il vino rosso, il bianco non esisteva.
Ricordo il deposito dove si tenevano le damigiane, le botti… poi il momento del travaso che facevo con papà che prendeva la cosa molto sul serio.

È una vocazione annunciata quindi la sua?
Si, e ho anche un aneddoto familiare. Una volta nelle famiglie patriarcali si viveva tutti insieme e quando nacqui io mia nonna mi voleva chiamare Vincenzo come il mio bisnonno. Mamma però si oppose perché il bisnonno Vincenzo era un grande bevitore e temeva che io ereditassi la stessa inclinazione. Il nome è cambiato, ma non il destino.

Ci sono stati incontri importanti nel suo approccio al vino?
Quando ero ragazzo io, nei primi anni Settanta, non usava andare al ristorante, tanto meno con la famiglia. Quando arrivai a Roma, i primi anni dell’Università, iniziai a frequentare le pizzerie e i ristoranti. Fu allora che ho cominciai ad assaggiare qualche vino e ad appassionarmi, a partire dai vini del Lazio.

Mangiare insegna a bere?
Assolutamente si. Io fuori pasto e senza cibo non bevo mai. Anzi, se bevo senza mangiare mi gira subito la testa. È un insegnamento di mio padre: bere stuzzicando sempre qualcosa.
A quell’epoca conobbi qualche ristoratore importante di allora e di oggi, come Alberto Ciarla e altre persone alle quali chiesi consiglio. Nel 1980 iniziai il primo corso da Sommelier, consigliato da Alberto Ciarla e Franco Ricci. A quel tempo i Sommelier erano pochissimi a Roma. I corsi si tenevano in un convento a S. Giovanni in piazza Zama che ci prestava il refettorio.

L’opera di un celebre artista riproduce l’ingresso del ristorante Agata e Romeo

La formazione accademica è quindi importante per avvicinarsi al vino?
La preparazione accademica ci vuole, ma non deve essere fine a stessa. Serve per porre le basi, avere una prima infarinatura. Per degustare e giudicare un vino occorre un metodo. Sta a noi poi recepire le cose più utili e più necessarie alla degustazione, ma il metodo deve essere preciso. Da autodidatti non si fa niente. A tutti i ragazzi che hanno lavorato e che lavorano da Agata e Romeo ho fatto frequentare il corso da Sommelier. Una volta finito il corso non sei Sommelier o intenditore di vino, ma hai le basi per poter iniziare.

E per diventare conoscitori del vino quale percorso bisogna intraprendere?
Per essere un conoscitore bisogna bere tanto. Bere, comperare le bottiglie buone, le bottiglie giuste, visitare le aziende vinicole, girare.
La cultura del vino è una delle cose più belle. Io ho avuto modo di girare tutta l’Italia vitivinicola e di conoscere le storie che ci sono dietro le etichette, come l’arte e la cultura dei luoghi. Poi ho girato la Francia, la Bourgogne, il Bordeaux, lo Champagne e poi la California, l’Alsazia, l’Austria, la Germania, la Spagna…
Agata mi segue sempre e anche le figlie. Maria Antonietta è stata due anni a New York come Sommelier nel ristorante Le Cirque. Era Wine Director e gestiva tutta la cantina. Ora è ritornata e sta con noi.

I gusti di Romeo Caraccio oggi quali sono?
L’evoluzione dei gusti c’è sempre perché è il vino a essere in continua evoluzione. Anche i produttori di vino si evolvono di anno in anno e anche il gusto cambia. Un vino che ho bevuto dieci anni fa è diverso da quello che potrebbe essere oggi. Come fattura, come struttura, come pensiero.
Proprio ieri parlavo con Riccardo Cotarella, uno degli enologi più famosi d’Italia e chiamato il mago del Merlot. Anche lui dice che ogni deve cambiare il vino perché cambiano i gusti, le persone, l’approccio al vino.

Le sue preferenze a chi vanno?
Ho due grandi preferenze: il Pinot Nero e il Riesling. Mi danno grandi emozioni e come vitigni li considero la massima espressione che si possa avere nel vino. Purtroppo in Italia non abbiamo né un grande Pinot Nero né un grande Riesling.

E su chi ripiega?
Anche di questo non dovrei parlare, perché è lo Champagne, il mio vino preferito. Io difendo l’enologia l’italiana e i prodotti italiani, ma su questi tre che sono i miei vini preferiti in Italia non c’è un riscontro importante. Sono comunque un appassionato di Franciacorta, una zona in evoluzione, dove si sta lavorando bene e dove si stanno realizzando grandi prodotti. La sua notorietà è purtroppo circoscritta all’Italia. All’estero non è molto conosciuta in quanto ha il grande antagonista, lo Champagne, nei confronti del quale ha anche una produzione assai ridotta.

Cosa non può mancare in una cantina?
Una cantina, per essere equilibrata, deve avere una rappresentanza di tutte le zone vitivinicole, quanto meno le più rappresentative d’Italia. In più, per essere completa, deve avere quelle che secondo me sono le quattro categorie di vino che non possono mancare: il vino spumante quindi le bollicine, il vino bianco, il vino rosso e il vino da dessert. In ognuna di queste categorie bisogna cercare di trovare il meglio.
La cantina è molto personale. Si lega al tipo di cucina del locale, al tipo di clientela, la passione di chi la gestisce. Io sono contro le cantine sovradimensionate che sono molto importanti a poi non hanno il cliente al quale proporre e vendere il vino.

Le mani del Sommelier Romeo Caraccio nel rito dell’apertura di un vino


[ l’intervista a Romeo Caraccio continua il mese prossimo ]


 

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