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Somo Asia

Somo Asia

Indirizzo:
Via Goffredo Mameli, 5
00153 Roma
Quartiere Trastevere
Tel. +39 06.5882060
Email: info@somo.asia
Sito web: www.somo.asia
Aperto: a cena
Giorno di chiusura: lunedì
Tipo di cucina: giapponese e fusion
Chef: Reina Nagai
Carte di credito accettate:
tutte
Tavoli all’aperto: no
Sale riservate: si
Ferie: agosto
Prezzo medio (bevande escluse):
E. 40
I giudizi delle guide
L'espresso 12.5

La ricetta dello chef

Futomaki

Menu gustato

  • Appetizer: tartara di salmone e di tono
  • Misto di sushi e sashimi
  • California rolls
  • Ebi Ten rolls
  • Salmone alla piastra con salsa di mirtilli
  • Ricciola in crosta
  • Noodles con verdure alla Thai e pollo

Bevande

Arneis Blangé - F.lli Ceretto


Villaggio di pescatori,
si balla felici sotto il chiarore della luna,
tra i profumi del pesce crudo
.

Vasti campi verdeggianti
dappertutto,
proprio tanto riso!

L'uccello grida,
ha colto un frutto
rossissimo.

Di me dite
che ho amato la poesia
e i cachi.

haiku di Masaoka Shiki

[ altri haiku ]

ristorante giapponese e fusion

Somo Asia è un incontro tra design contemporaneo, esaltato da materiali naturali, arredi e apparecchiature essenziali, cucina giapponese e cucina fusion - mediterranea, proposte in menu separati ma con reciproco scambio di sapori e titillamenti del palato.
Arrivate presto, quando il salone non è ancora gremito da una variegata moltitudine dal brusio poco Zen, e godetevi gli zampilli dell’acqua perenne della fontana, gli spazi ariosi da rivista di architettura progettati dall’architetto spagnolo Elena Piulats, le fotografie giganti che con un sapiente gioco di luci disegnano labirinti sulle pareti, le teste dorate di Budda, imperturbabili icone di spiritualità. Oppure godetevi l’intimità regalata dai Tatami o ancora scegliete la più raccolta sala d’ingresso, dove sorseggiare un aperitivo prima di iniziare la cena.

La sala principale di Somo

Non è comune incontrare un maestro sushi donna, essendo una “molto onorevole” professione tradizionalmente riservata agli uomini, dal lungo apprendistato e facilmente paragonabile a quella dei nobili Samurai (ricordate da chi è forgiata la spada di Uma Thurman nel film Kill Bill?). È perciò un piacere constatare che un locale di impronta internazionale abbatta il pregiudizio e affidi la cucina a una donna chef, Reina Nagai, capace di mostrare quanto sia squisitamente femminile la miscela di dedizione, creatività e rigore necessaria alla perfetta esecuzione dei piatti di cucina giapponese.
I neofiti o i fusion gourmet di lungo corso possono iniziare l’esperienza esotica con il capitolo dei sashimi, da scegliere in base a gusto e curiosità: Hamaki (ricciola), Suzuki (spigola), Hirame (rombo), Tai (dentice), Sake (salmone), Maguro (tonno), Ikura (uova di salmone) da alternare ai Nighiri sushi nei quali i maestri sushi fanno a gara nel disporre in modo artistico i filetti di pesce crudo sul letto di riso. Il consiglio è di iniziare con i sapori più tenui del pesce bianco al quale far seguire il sapore più intenso del pesce con carne rossa e delle guarnizioni più saporite offerte anche dalla fantasiosa scelta di Maki, dai più semplici composti dall’alga nori che avvolge riso e pesce, ai Raimbow con frittata e avocado, ai Futomaki (anche vegetariani), senza perdere gli Hosomaki con anguilla grigliata (Unagi) o granchio (Kani) e i croccanti Ebi Ten con gamberi fritti.
Ogni boccone può essere insaporito con i condimenti presenti su ogni tavolo: zenzero sottaceto e wasabi sciolto nella salsa di soia, ottimo per pulire la bocca tra una portata e l’altra e da consumare con moderazione, rispettando il galateo giapponese. L’esperienza si completa con la classica zuppa di miso e tofu.
Margini di miglioramento presenta il menu fusion, sul quale spicca però il filetto di pregiato e raro manzo Kobe, famoso per la qualità ottenuta con metodi che sfiorano la leggenda: musica classica diffusa nelle stalle per rendere felici e rilassati i vitelli, nutrizione degli animali a base di birra e grano e massaggi con guanti di crine. Il risultato è una carne morbida, tenerissima e dolce, dai prezzi proporzionati. Alternative più abbordabili sono gli spaghetti di riso con verdure alla Thai e pollo, filetti di pesce o uno stuzzicante millefoglie di rombo fritto con crema di carciofi.
E come dessert? II dolci non mancano, ma un'ottima alternativa è il sushi con l’omelette (Tamago),  dove la dolcezza della frittata e del riso fanno sognare la primavera dei peschi in fiore.

Maria Luisa Basile

Un ringraziamento allo staff di Somo e all'ufficio stampa per la disponibilità e le fotografie degli ambienti.
"Per seguire la via il Samurai deve mantenere l'attenzione sul momento presente e non vacillare, non avere pensieri mondani né essere schiavo delle passioni. Ogni istante è importante e quindi è necessario concentrarsi sempre sul momento presente."
Yamamoto Tsunetomo, Hagakure, Il Libro segreto dei Samurai

La sala principale del ristorante Somo

Benvenuto dello Chef: tartara di tonno e salmone

Sushi, sashimi, futomaki

Sushi, sashimi, futomaki, ebi ten rolls
Somo: i tatami
Noodles con verdure Thai e pollo
La sala vista da un tatami
Pesce alla piastra con salsa di mirtilli e in crosta

Archivio locali gourmet

Un archivio dei locali segnalati negli anni

Centro storico

 

Collina Fleming

 

Esquilino

 

Fleming

 

Garbatella

 

Ludovisi – Sallustiano

 

Montemario

 

Monteverde

 

Monti

 

Ostiense

 

Parioli

 

Prati

 

San Giovanni

 

Testaccio


Trastevere


Trionfale


Vaticano


Limes gourmet


Il cielo sopra Roma – Lazio gourmet

  • Acquapendente (VT) La Parolina [ristorante Un'ottima tavola nella sua categoria 1 stella Michelin]
  • Acuto (FR) Colline Ciociare [ristorante Un'ottima tavola nella sua categoria 1 stella Michelin]
  • Isola di Ponza (LT) Acqua Pazza [ristorante Un'ottima tavola nella sua categoria 1 stella Michelin]
  • Ladispoli (RM) The Cesar dell’Hotel La Vecchia Posta [ristorante Un'ottima tavola nella sua categoria 1 stella Michelin]
  • Rivodutri (RI) La Trota [ristorante Un'ottima tavola nella sua categoria 1 stella Michelin]

Manzo Kobe


Il manzo che veniva dal Giappone

Una pregiata e rara carne di manzo giapponese, ottenuta con metodi di allevamento leggendari che prevedono l’ascolto di Mozart, sorsi di birra e massaggi con guanto di crine

Il Kobe è un manzo di razza Kuroge Wagyu (capi dal manto nero) proveniente dalla provincia Hyogo Prefecture, l’antica Tajima. Ne è prova il fatto che i veri intenditori chiamano il manzo Kobe Tajima Beef.
Per poter essere denominato Kobe, l’animale deve provenire da Hyogo, nel Giappone orientale e rispettare le rigide procedure di allevamento lì imposte. Innanzitutto nelle stalle viene diffusa musica classica, perché la carne di animali felici e rilassati è migliore e poi i vitelli vengono nutriti a birra e grano e massaggiati con un guanto di crine. Le ragioni della particolare dieta riservata ai manzi sono legate al calo di appetito degli animali in estate a causa di caldo e umidità, e che la birra riesce invece a stimolare, impedendo il calo di peso. Il massaggio con il guanto di crine fa sì che la carne abbia una miscela di grasso e muscolo molto inframmezzata, che le dà il tipico aspetto marmorizzato: il grasso, sciogliendosi durante la cottura, conferisce un sapore assai gustoso, dolce e vellutato e una tenerissima consistenza. La cottura avviene a fiamma vivissima su una piastra molto calda dove la carne deve essere appena scottata in modo che il grasso inframezzato non venga disperso e la consistenza risulti croccante fuori e morbidissima dentro. Ottima anche in tartare e in sashimi.

In Occidente la carne Kobe è pressoché introvabile, sia per gli elevati costi di allevamento, sia per l’alta percentuale di grasso (le modalità di allevamento aumentano la diffusione della già consistente massa adiposa).



Dove gustare la carne di manzo Kobe a Roma:

Somo Asia

Sashimi manzo Kobe con avocado e verdure E. 15
Filetto manzo Kobe E. 45

altri Frammenti di un discorso gourmet:

La foto in alto a destra con maiale e fragole è tratta da Adriano Del Fabbro, L’arte della Norcineria


Cucina giapponese – Etichetta e galateo

In Giappone è estremamente scortese versarsi da bere a tavola (sono i commensali a riempire il vostro bicchiere, e voi lo riempirete a loro qualora sia vuoto), lasciare il bicchiere completamente vuoto, divorare il cibo avidamente, mangiare o bere, per esempio da una lattina, mentre si è per strada.

Prima che il pasto abbia inizio, ciascuno dice: Itadakimasu.
Alla fine del pasto si suol dire: Gochisoo-samadeshita, parole
che esprimono apprezzamento e ringraziamento per il pasto.

Di fronte a ogni commensale si dispongono bacchette, portabacchette, ciotolina per intingere.

Le bacchette

Le bacchette si separano e si posano sull’apposito piccolo supporto.
Va contro l’etichetta portare le bacchette alla bocca senza cibo.
Se ci si serve da un piatto comune o se si serve qualcuno, è educato usare l’altra estremità delle bacchette.
Non si passa il cibo dalle proprie bacchette a quelle di un’altra persona: questo gesto è considerato di grande sfortuna in quanto ricorda la cerimonia della cremazione nella quale i parenti si passano le ossa del defunto con le bacchette prima di inserirle nell’urna.
È molto indelicato anche affondare le bacchette verticalmente in una ciotola di riso, perché ai giapponesi ricorda l’incenso dei funerali.

Ordine delle portate
Non esiste un rigido ordine corretto per mangiare il sushi
anche se si può seguire qualche indicazione.
L’inizio del pasto è solitamente affidato a qualche fetta di sashimi. I giapponesi servono servono spesso una zuppa sia all’inizio (sui mono) sia alla fine (miso shiru, accompagnata da una ciotola di riso e da sottaceti) del pasto.
Il sashimi si mangia con le bacchette prendendo le fettine di pesce una per una e intingendole appena nella salsa di soia nella quale si è sciolta una punta di wasabi.
Invece il sushi può essere mangiato con le mani (tenendolo fra pollice e indice), in fondo nasce come cibo di strada!
I pezzi di sushi vanno mangiati in un solo boccone; mordere un pezzo di sushi e rimettere il boccone restante sul piatto è considerato poco educato.
È preferibile inserire il sushi nei piatti in numero dispari,
evitando comunque il 4 che secondo la tradizione giapponese
non è di buon auspicio.

Come intingere il sushi
Intingere un pezzo di sushi nella salsa di soia senza disintegrarlo e senza lasciare grani di riso galleggianti è un’arte.
Si versa una piccola quantità di salsa di soia in una ciotolina. Inclinato il pezzo di sushi su un lato, lo si afferra (con le bacchette o con le mani). Con un movimento del polso si ruota leggermente la mano per intingere nella salsa solo la guarnizione e si porta il sushi alla bocca capovolto, in modo da percepire per primo il sapore della guarnizione e del condimento.
Il sushi non va mai sommerso in quanto il riso assorbirebbe completamente la salsa di soia e i delicati sapori dell’involtino sarebbero coperti dal gusto intenso del condimento che prevaricherebbe la studiata miscela di aceto di riso del riso sushi che inoltre si disferebbe.

Salsa di soia e wasabi
Salsa di soia e wasabi servono a esaltare il sapore del cibo e non a coprirlo e vanno quindi impiegati con moderazione. Se si ama particolarmente il wasabi e si sta gustando il sashimi, se ne può spalare una punta su una fetta per poi intingerla velocemente nella salsa di soia. Così si potranno apprezzare il profumo e il sapore dle pesce e l’essenza di wasabi e salsa di soia.

Lo zenzero
Lo zenzero rosa sottaceto affettato sottile accompagna il sushi e il sashimi. Lo scopo è pulire il palato e perciò se ne dovrebbe mangiare una sola fettina alla volta, quando si alternano i sapori

Cucina giapponese a Roma

  • Doozo [quartiere Monti]
  • Somo [quartiere Trastevere]


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Etichetta
Le norme di etichetta giapponese a tavola non sono rigorose e sentirsi a proprio agio rilassandosi, permette di intensificare il piacere della degustazione.

 

Pur padroneggiando [la situazione], mostrare all’avversario una mossa [falsa] per trarre vantaggio dalla sua tranquillità.

[Il libro dei mutamenti dice:] “L’aumento: movimento e flessibilità”.

Spiegazione

“Ciò che è, non è.

Ciò che non è, è”

Sanshiliuji: I 36 stratagemmi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cucina giapponese – Tradizione e Filosofia

Nella filosofia di vita giapponese la ricerca della perfezione estetica è un valore importante. Bellezza, rigore formale e sensibilità estetica sono radicate nella tradizione e in molte pratiche del quotidiano, dalla calligrafia alla pittura, dall’ikebana (disposizione dei fiori) allo tsutsumi (impacchettamento dei doni) e caratterizzano anche la cucina, scaturendo tutte dal medesimo orizzonte spirituale, lo Zen.
Per la sensibilità giapponese il piacere procurato dal cibo è formato da molte componenti: visiva, gustativa e tattile. La cucina giapponese è pertanto un’esperienza multisensoriale che coinvolge il gusto e ancor prima la sensibilità estetica, sollecitata dalla bellezza della presentazione dei cibi, dall’armonia dei colori nel piatto, dall’equilibrio degli accostamenti.
La bellezza del piatto è una componente della sua bontà che è costituita da cura dei particolari, scelta di stoviglie e utensili, porzionatura dei cibi e loro disposizione sui piatti e sulla tavola in una ponderata distribuzione fra pieni e vuoti. Questo intreccio fra pieno e vuoto manifesta anche una deliberata incompiutezza, una forma di volontario ritegno, di ineffabile sobrietà, qualcosa di taciuto.
L’irregolarità è un piacere, capace di suscitare sensazioni di ritmo e movimento.
La bellezza della presentazione non deve sgretolarsi nello svolgersi del pasto.

La preparazione del cibo è simile a un rito antico nel quale ogni gesto, compiuto all’infinito e perfezionato, è espressione di un gusto e di una cultura millenaria.
Mangiare giapponese è un’esperienza culturale che permette di “assaporare” la concezione religiosa e filosofica buddista dalla quale questa cucina trae i principi fondamentali. Ne sono esempi il profondo legame con la natura, la ricerca di armonia con quanto ci circonda e il rispetto del rito delle stagioni nell’impiego degli ingredienti.
Nella cucina giapponese la coerenza fra tecniche culinarie e dispositivo scenografico ha proprio origine nel modo di intendere la natura, di rispettarla e accudirla. La venerazione della freschezza e della stagionalità dei prodotti e la scelta dell’ingrediente crudo o poco cotto per conservarne le caratteristiche naturali nella forma e nel gusto e le proprietà salutari, esprimono il significato simbolico di un accostamento privilegiato alla natura.
Nella cucina giapponese i sapori devono armonizzarsi mantenendo ognuno la propria essenza, senza confondersi. Ecco perchè la cucina rifugge la trasformazione dei cibi, l’artificio, le decorazioni bizzarre, rifiutate come mistificazioni che corrompono il sapore naturale degli alimenti.

Cucina giapponese a Roma

  • Doozo [quartiere Monti]
  • Somo [quartiere Trastevere]


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Elisir di lunga vita
L’alimentazione giapponese tipica a base di riso e pesce ha grandi vantaggi salutistici, confermati dall’aspettativa di vita media dei giapponesi che è la più alta al mondo.

L’apporto calorico del SUSHI è basso: i pesci a carne bianca (branzino) han meno di 100 calorie per 100 gr; i pesci più grassi (sgombro, tonno) han meno di 200 calorie per 100 gr. Alcuni pesci grassi (sardine, aringhe, sgombri) son ricchi di acidi grassi omega-3 che svolgono un ruolo importante nella prevenzione di ictus, patologie cardiache e artrite.

Il RISO è un’ottima fonte di carboidrati e proteine. La SALSA DI SOIA è a base di fagioli di soia fermentati ricchi di proteine, magnesio, potassio e ferro. La soia contiene fitoestrogeni, validi nel trattamento dei disturbi della menopausa. Lo ZENZERO è un efficace antisettico naturale; favorisce la digestione e rafforza il sistema immunitario, aiutando il corpo a combattere raffreddori e influenze. L’ACETO DI RISO ha ottime proprietà antibatteriche, favorisce la digestione, tonifica e diminuisce il rischio di ipertensione. Le ALGHE NORI contengono proteine, minerali, vitamine A, B1, B2, B6, C e prevengono l’accumulo di depositi di colesterolo nelle arterie. Il WASABI è ricco di vitamina C, favorisce la digestione e ha ottime proprietà antibatteriche

Hagakure

La parola Hagakure è composta da due ideogrammi 葉隱 o 葉隠 che significano foglia e nascondere. Si potrebbe perciò tradurre con l’espressione All’ombra delle foglie o Nascosto dalle foglie.
Letta e interpretata in modo corretto, l’opera rivela un pensiero complesso e positivo, invitando alla riflessione e fornendo uno strumento per la ricerca interiore.
I valori dell’obbedienza e della fedeltà non sono legati alla morte fisica, ma alla soppressione del proprio Ego per raggiungere la perfezione nella fedeltà ai propri ideali. Il seppuku non è il suicidio occidentale indotto dalla disperazione, ma la manifestazione della lealtà verso il dovere e l’esaltazione di ideali morali umani. Attraverso la vittoria sulla paura della morte, si raggiungono la libertà e la pace interiore, si colgono la gioia e la bellezza racchiuse in ogni singolo istante. Si vive il momento presente nella sua unicità.

La parola Hagakure è composta da due ideogrammi 葉隱 o 葉隠 che significano foglia e nascondere. Si potrebbe perciò tradurre con l’espressione All’ombra delle foglie o Nascosto dalle foglie.
Letta e interpretata in modo corretto, l’opera rivela un pensiero complesso e positivo, invitando alla riflessione e fornendo uno strumento per la ricerca interiore. I valori dell’obbedienza e della fedeltà non sono legati alla morte fisica, ma alla soppressione del proprio Ego per raggiungere la perfezione nella fedeltà ai propri ideali. Il seppuku non è il suicidio occidentale indotto dalla disperazione, ma la manifestazione della lealtà verso il dovere e l’esaltazione di ideali morali umani. Attraverso la vittoria sulla paura della morte, si raggiungono la libertà e la pace interiore, si colgono la gioia e la bellezza racchiuse in ogni singolo istante. Si vive il momento presente nella sua unicità.

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Yamamoto Tsunetomo
山本 常朝

(1659 – 1719)

Nacque da un’antica famiglia di Samurai nel feudo di Saga, dominato dalla dinastia dei Nabeshima. Visse in un’epoca di pace ma non accettò mai il cambiamento e continuò a coltivare gli antichi ideali guerrieri. Figure decisive nella sua formazione furono il monaco zen Tannen, il dotto confuciano Ishida Ittei. Quando il suo daimio Mitsushige morì, nel 1700, essendo ormai proibita la pratica del suicidio rituale (seppuku), scelse di divenire monaco buddista.

Nel monastero buddista di Kurotsuchibaru dove si era ritirato ammaestrò all’antico codice d’onore il giovane Tashiro Tsuramoto. L’allievo trascrisse le conversazioni col maestro e le raccolse negli undici volumi che compongono l’opera Hagakure.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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cielo de perdere quello
che gh’ho più caro:
l’appetito.
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